Rocambolesca fuga di un criceto raccontata in prima persona per uno special televisivo sulla condizione dei criceti nella società moderna. Lo special è stato censurato dalle autorità televisive perché sovversivo. Grazie alle nostre fonti, però, siamo riusciti ad avere il Dossier e abbiamo deciso che noi del “Satellite Russo” dovevamo portare a galla la verità.

Tutto cominciò un pigro sabato pomerigio quando quei due miei piccoli padroni decisero di chiudermi in un labirinto da loro costruito mediante i mattoncini Lego per valutare la mia intelligenza. Quello non era un semplice gioco, ma con i dati da loro raccolti avrebbero fatto un elaborato sull’intelligenza dei criceti da consegnare a scuola. Insomma ero diventato un criceto da laboratorio.
La mia pazienza era ormai giunta al limite. Non riuscivo più a sopportare le sofferenze che mi venivano quotidianamente inflitte in quella che per me era una volta la casa della felicità e che poi si era trasformata nella casa della mia sofferenza e dannazione.
Niente mai mi aveva più umiliato in vita mia. Neanche quando la cameriera, Susy, scambiandomi per un volgare topo, mi aveva inseguito per tutta la casa tentando di uccidermi con tutto quello che le capitava a tiro nelle stanze dell’appartamento in cui tentavo di rifugiarmi.
In cucina aveva tentato di finirmi a colpi di padelle. Mi domando come mai avesse tentato di uccidermi con le padelle che poi avrebbe usato per preparare la cena ai propri datori di lavoro, per quanto questo non mi avrebbe dovuto meravigliare più di tanto visto che la vedevo regolarmente, attraverso le sbarre della mia gabbietta, fare delle schifezze nei piatti dei miei padroni. Si sa che la pulizia non è mai stata il suo forte.
In corridoio tentò di colpirmi con il vaso cinese, made in Taiwan, preferito di Jane, la mamma della casa, ma nel tirarmelo con quella sua mira del cavolo non fece altro che colpire il quadro preferito di John, il papà della famiglia, “Ritratto di un auto ritratto di Leonardo da Vinci mentre si guardava allo specchio da una finestra chiusa con le tapparelle abbassate”. C’à mancato veramente un soffio che mi colpisse. Il ritratto auto-ritratto era appena due metri e cinquanta centimetri sopra della mia testa (appeso al muro) e io stavo invece sul pavimento.

Nella stanza di Tommy, il piccolo bimbo della casa, mi aveva scaraventato contro Mazinga e Goldrake, ma per fortuna che ho studiato Roditoraggio (l’arte di rodere la pazienza dei robot giapponesi). Poi mi tirò contro Batman, che non sapeva cosa fare perché Robin gli aveva portato il bat-costume nella bat-lavanderia e quindi in quel momento indossava solamente le bat-mutande in ferro bat-tuto. Poi continuò tirandomi le figure del presepe napoletano e la chitarra dei puffi. Infine il più temibile avversario dello star system giapponese: Goku. La lotta che ingaggiammo fu ardua. Lui si era trasformato in Super Sayan e io mi difendevo come potevo. Se solo avessi accettato l’alabarda spaziale che Mazzinga, poco prima, mi voleva regalare l’avrei steso. Non sapevo più cosa fare, ero disperato, mi sentivo un criceto morto. Nella snervante attesa pregavo e guardavo il cielo attraverso la finestra. Quando ad un tratto vidi un bagliore, e poi ne vidi un altro, e poi un altro ancora. Era il Satellite Russo che si stava orientando e con un raggio di luce ridusse il pupazzo di Goku, quel pupazzo che è, in un cumulo di plastica sciolta e fumante.
Ne approfittai per rifuggiarmi nella stanza di Kate, la bambina di casa. Ma fu questione di pochi istanti e Susy mi rintracciò. Questa volta utilizzò le bambole di Barbie per sopraffarmi. Mi tirò contro: Barbie Stilista, Barbie Top Model, Barbie dal Barbiere, Barbie da una sua amica, Barbie mentre ha un incidente automobilistico con la macchina di Ken, Barbie al pronto soccorso dopo l’incidente e Barbie al suo funerale (mi tirò contro anche la bara in dotazione). Poiché che riuscivo a schivarle in pieno stile Matrix, iniziò a tirami i pupazzi di Ken: Ken che firma il modulo di constatazione amichevole della macchina incidentata da Barbie, Ken che bestemmia negli uffici dell’assicurazione a causa della macchina incidentata da Barbie, Ken dal carroziere, e Ken al funerale di Barbie.
Me la cavai egregiamente e schivando pupazzo dopo pupazzo riuscì a fuggire e a rifugiarmi nella camera da letto di John e Jane. Anche li Susy tentò di finirmi con degli oggetti. Questa volta però gli oggetti erano piuttosto insoliti per trovarsi in una stanza da letto: un trapano black & decker, un saldatore, un giravite, un frammento di un meterorite, ed un oscilloscopio.
Decisi di rifuggiarmi in bagno, ma anche li non riuscì a sfuggire alla sua furia criceticidia. Tentò d’apprima di annegarmi nella vasca da bagno vuota, poi pensò bene di riempirla d’acqua. Per aumentare l’effetto mortale dell’acqua aggiunse ammoniaca, candeggina e mastrolindo. Mi sentivo spacciato. Simulai di essere morto galleggiando nella posizione consona ai morti. Lei era contenta perché credeva di avermi sconfitto. Approfittai di un suo momento di distrazione nel cercare un qualche arnese per recuperare il mio corpo per nuotare fino a bordo vasca ed uscire da quell’ inferno di acque. Lei però se ne accorse immediatamente e iniziò nuovamente a tentare di uccidermi. Questa volta utilizzò un mezzo convenzionale: la scopa. Mediante questa sferrò una serie incessante di colpi che non riuscì a schivare purtroppo. Mentre mi colpiva tutta contenta diceva: “Ecco a cosa serve questo arnese, fino ad ora mi sono chiesta quale utilità avesse questo oggetto”, è stata una cosa che mi lascià perplesso, specialemente perché lei era una cameriera.
Stremato nel corpo e nello spirito, decisi di rifuggiarmi nell’unico posto che mi rimaneva: nella mia gabbietta in soggiorno. Con una disperata corsa arrivai fino al poggia piedi vicino al divano che utilizzai come trampolino per saltare sul divano, e in fine mi lanciai sul tavolino dove stava la mia gabbietta. Quindi vi entrai dentro e chiusi la porticina (a chiave), mi misi in un angolino mentre ansimavo sia per la corsa che per la paura. Mi sentivo il cuore in gola, quand’ecco che Susy entrò in soggiorno agguerrita più che mai. Mi vide nella gabbietta e scoppiò in una grassissima risata e disse: “Sei proprio un criceto scemo, hai visto che sono riuscita a rimetterti nella gabbia?”. In quel momento mi si ammosciarono la coda e i baffi. HA FATTO TUTTO QUESTO PERCHÉ SI SCHIFAVA DI PRENDERMI CON LE SUE MANI PER RIMETTERMI IN GABBIA!!!
Da quel giorno la rabbia crebbe dentro di me e sempre più a fatica sopportavo i campionati casalinghi di lancio del criceto contro il muro che i miei padroni si divertivano tanto a fare e che a me non piacevano affatto; oppure quando in estate mi depilavano e mi denudavano la carne perché mi vedevano ansimante dentro la gabbia credendo che avessi caldo. Io avevo solo sete… ma quello che odiavo di più era quando i bambini si divertivano a giocare all’allegro veterinario con me. Specialmente quando volevano giocare a curarmi la febbre e mi mettevano dieci supposte una di seguito all’altra. E adesso ci si mettevano anche con gli esperimenti scientifici. Basta! era ora di finirla. Dovevo andarmene, dovevo inseguire i miei sogni di roditore. Dovevo evadere dalla mia gabbia.
Iniziai ad addestrarmi e a preparare il piano. Con grande zelo mi misi a studiare le abitudini degli abitanti della casa, feci una cartina topografica dell’appartamento, presi lezioni di Judo, mi esercitai al poligono di tiro, seguii lo stesso addestramento delle truppe speciali della marina degli Stati Uniti, studiai Russo, Giapponese, tutte le puntate di Mac-Gyver e dell’A-Team, ma soprattutto seguii una sana alimentazione.
In poco tempo riuscii a preparare tutto. Il piano prevedeva una fuga rocambolesca. Mediante l’esperienza accumulata dai telefilm di Mac-Gyver e dell’A-Team costruii, nei momenti di distrazione dei miei padroni, un apri sbarre servendomi della mia ruota. Collegai l’asse della ruota mediante un filo metallico alle sbarre, così mi sarebbe bastato correre un po’ nella mia ruota per aprirmi un varco per fuggire. Mediante la segatura della mia gabbia feci una polvere accecante. Con la cacca della settimana passata preparai un colore da spalmarmi in faccia per mimetizzarmi nell’oscurità. Con il telo copri-gabbia feci una corda (che è sempre utile, nei casi disperati è utile per impiccarsi per non cadere vivo in mani nemiche). Tutto era pronto aspettavo solo il momento giusto.
Finalmente un martedì sera mi si presentò una buona occasione. In TV c’era il festival della canzone napoletana, e tutti sembravamo ipnotizzati dalla TV, poiché noi eravamo negli Stati Uniti e ci sembrava strano che un programma partenopeo potesse essere ricevuto ad una così lontana distanza. Sebbene stupiti, tutti i membri della famiglia erano ansiosi di vedere l’esecuzione di Gigi D’Alessio che quella sera avrebbe dovuto cantare un vecchio successo dei Litfiba: “O Sole mio”. Anche io mi meravigliavo di tale evento. Non intendo della performace di Gigi D’Alessio, ma del fatto che tale programma venisse ricevuto fino negli Stati Uniti. Mentre contemplavo la potenza delle onde elettromagnetiche guardando il cielo, la mia attenzione si calamità su di una stella molto luminosa che vedevo per la prima volta. Non ci misi molto a realizzare che quello era il Satellite Russo che aveva deciso di darmi una mano fornendomi un diversivo per scappare. Era giunto il momento d’agire.

Mi misi nella ruota e iniziai a correre a più non posso per aprirmi un varco fra le sbarre mediante il marchingegno che avevo costruito. Dopo di ciò mi misi la cacca mimetica in faccia, e indossai le attrezzature. Con il cuore palpitante passai attraverso il varco che mi ero aperto fra le sbarre, e strisciai fino al bordo del tavolo. Intanto in TV si stava esibendo Pino Daniele. Dovevo stare attento a non fare alcun rumore. Legai la corda ad un angolo del tavolo e mi calai fino in terra. Mi misi dietro un piede del tavolo per osservare meglio il campo d’azione. Mediante il periscopio vidi che erano ancora tutti ipnotizzati dalla TV allora corsi verso il muro e proprio con il fare di un soldato dei gruppi speciali della marina presi il mio mitragliatore. Non avevo intenzione di uccidere nessuno, ma nel caso in cui qualcuno avesse tentato di fermarmi non avrei esitato a sparare. Indossai gli occhiali ad infrarossi per individuare dove era il gatto. Stava sonnicchiando vicino alla TV. Adesso dovevo solamente trovare una via per evadere dall’appartamento. Mi diressi in cucina senza farmi scoprire. Per mezzo delle tende che arrivavano sino in terra mi arrampicai fino alla finestra, la aprì senza fare rumore e uscì.
FU LA SCELTA PIÙ SBAGLIATA DI TUTTA LA MIA VITA. Non sapevo che l’appertamento fosse l’ultimo piano di un grattacielo di centoventi piani. Fortunatamente i miei riflessi di criceto mi vennero in soccorso e riuscì ad aggrapparmi con una zampetta al bordo della finestra evitando di finire sul marcapiede centoventi piani più sotto. Sotto i miei piedi vedevo le luci della città e delle auto. Un forte vento soffiava e minacciava di farmi perdere la presa e farmi precipitare nel vuoto. Così mi issai e mi reintrodussi nell’appartamento. In quel momento capii che la mia unica speranza era quella di evadere attraverso la porta di ingresso.
Mi calai dalla finestra sempre attraverso le tende e rasentando i muri arrivai fino quasi alla porta di ingresso, quando sentii che qualcuno mi stava osservando. Mi voltai. Era il gatto. Non so come, ma mi aveva scoperto. Iniziò ad abbaiare e ringhiare e ciò allarmò i padroni di casa, perché pensavano che lo psicologo per animali era riuscito a far superare al gatto quella crisi di identità che lo affliggeva dopo avere scoperto che il gatto della pubblicità dei Friskies era morto. Tutti gli abitanti dell’appartamento capirono quindi le mie intenzioni e ne nacque subito una violenta coluttazione fra loro e me. Per spaventarli decisi di utilizzare il fucile mitragliatore che avevo in dotazione, ma a causa dell’elevata tensione non riuscii a mettere la sicura. Partì a mia insaputa una scarica di colpi che uccise tutti i membri della famiglia, gatto compreso. Ero disperato. Cosa avevo mai fatto? Un così atroce delitto!
Gli spari allarmarono i vicini che corsero a vedere cosa fosse successo. Inoltre la polizia era già sopraggiunta a causa dello strano fenomeno della ricezione del festival della canzone napoletana nel nostro palazzo. Avevo poco tempo. Nascosi tutto e mi richiusi nella gabbia proprio nel momento in cui la polizia fece irruzione nell’appartamento.
La polizia fece le indagini, io fui anche interrogato al processo, ma non confessai il delitto e per mancanza di prove fui scarcerato. Mi hanno affidato ad un’altra famiglia e ancora oggi nel buio della mia gabbietta spero di fuggire verso la libertà.